[…] There is no monopoly on common sense
On either side of the political fence
We share the same biology, regardless of ideology […]
Sting, Russians, (1985)
In una società effimera ben operante di criptovaluta, in un momento di crisi sociale e di libertà che mina costantemente la pace, a causa dell’attacco all’Ucraina da parte della Russia, l’Europa guarda con sgomento cercando di operare una sintesi di posizione diretta agli aspetti sociali e politici.
Nell’attrattiva di un'arte sempre più propagandistica - per far presa, naturalmente sul pubblico - Banksy, consolidato nella street art da anni, dissemina per il mondo il suo pensiero e la sua aperta posizione nei confronti del "feeling".
Scuote la recente notizia che il Padiglione Nazionale della Russia, con il suo magnifico edificio ai Giardini, non aprirà i battenti alla 59ª edizione della Biennale Arte a Venezia, non stupisce la recente dichiarazione dal team curatoriale dell’Ucraina nel non poter prendere parte alla manifestazione medesima.
Disorientano, non con poche perplessità, le posizioni politiche filo-occidentali di quanti pretendono dagli “intellettuali artisti russi” posizioni aperte contro il proprio leader, e difatti non avremmo mai immaginato nel XXII secolo di entrare all’interno di un pretestuoso conflitto di antidemocrazia e di libertà limitata a censure alternate.
Ricordo, a quanti non lo sapessero, la Biennale Arte veneziana con gli anni oscuri dell’edizione del 1934, denominata “Ritorno all’umano” con le cronache allucinogene riportate dai quotidiani del tempo che recavano, tra i tanti, titoli come “Il Pennello e il Cannone”, “L’Italia celebra coi fastigi dell’arte la sua ascesa imperiale”.
Sappiamo, anche, quanto ingiustamente il Futurismo, per decenni divenne ripudiato dalla storiografia e all’attenzione critica del dopoguerra, poiché ad esso furono addebbitate colpe identitarie legate indirettamente al Fascismo. Ma il tempo ha anche permesso una rappacificazione con la storia. Sappiamo, ad esempio, quanto sono state determinati le riflessioni e i contrasti tra Filippo Tommasi Marinetti e Giuseppe Bottai. Di quest’ultimo non si può ignorare il carteggio intitolato “La politica delle arti:1918-1943”, curato da Alessandro Masi nel 1990 ed edito dall’IPZS a Roma.
In questa settimana così rovente dalle incitanti news che ad ogni ora del giorno e della notte noi tutti scrutiamo sui social, Sting inneggia alla pace cantando “Russians” (1985) in un revival musicale che trafigge i cuori di tutti noi, l’attacco della Russia dentro l’Ucraina sembra inconsapevolmente e paradossalmente esplodere con una condanna netta estesa da tutto il mondo occidentale, mentre appare fuori controllo il Cremlino.
Pensiamo per un momento cosa significherebbe per noi tutti eliminare dai Musei occidentali ed Europei le opere di Malevič, o per un insegnate ripudiare il Suprematismo e il Costruttivismo dallo studio artistico di un determinato programma. Sarebbe scandaloso!
Sappiamo, anche, quanto la Polonia stia dando in questo momento storico un contributo in prima linea da quelle frontiere che accolgono i tanti fuggitivi ucraini.
Ed è proprio un polacco uno degli artisti più significativi che troviamo dentro le Avanguardie Russe, ma nonostante ciò, uno dei più ostili dal regime sovietico dell'epoca: Wladyslaw Streminski (1893-1952). A lui, pittore e teorico, si chiese l’abiura verso le forme del Costruttivismo. Ma la limitante e repressiva visione politica del regime occupante di quel momento, proiettata unicamente in una visione indotta all’estetica del realismo socialista, per ripercussione alla sua “non adesione alla idologia realista” gli fece perdere la docenza presso la National School of Plastic art di Łódź, da lui stessa fondata nel 1945. Lui amato dai suoi studenti per i metodi democratici con i quali impartiva le sue lezioni fu messo completamente al bando, espulso, infine, emarginato da quelle committenze private che riceveva per non morire di stenti a causa dell’espulsione ricevuta dallo ZPAP (Unione degli artisti visivi polacchi).
Pur ammettendo che l’arte, a torto o a ragione, è stata sempre coinvolta dentro forme di ideologismi plurimi, una considerazione chiara per tutti dovrebbe essere quella di far riflettere la bilancia dell'armonia tra i popoli sul paroliere della pace diplomatica.
E nel mentre le televisioni di tutto il mondo trasmettono quelle spaventose e drammatiche immagini sull’attacco dei civili e con in testa le città bombardate in Ucraina di Kiev e di Mariupol, immolante per la “democrazia” Volodymyr Zelensky, assistendo a quelle immagini d’agenzia che mostrano gli intellettuali e i manifestanti Russi arrestati per le strade di Mosca, quando Anonymus compromette l’ecosistema digitale dello zar con attacchi “hacker” per destabilizzare il governo putiniano, a Milano troviamo, a ridosso della Stazione Ferroviaria Centrale, la mostra dedicata a Banksy.
Una percezione estesa della società che indipendente dalla classe sociale o dagli interessi personali dal punto di vista culturale, già da tempo si interessa alle pratiche artistiche del writer britannico. Ma una ragione specifica a questa partecipazione di massa, sono fermamente convinto che possa risiedere nella interpolazione della cronaca quotidiana con con la quale lui investe tutte le aree tematiche.
Difatti Banksy svincola ogni preconcetto di divisione sociale abbattendo le “classi” e strutturando i situazionismi della cronaca imbattendoli nella politica, denunciando le disuguaglianze di genere, e acume dell’arte concettuale, ibrida di idiomi post-pop artistici, lui svela nudità visivamente interventiste - nell’eccezionalità nell’uso di questo termine - difronte alla caparbietà di insistere sul citazionismo consumato. Banksy è quindi l’esempio più acclarato dell’anti-politically correct, e senza regole ci trasporta in giro per il mondo, da Gerusalemme a Calcutta, così come ce ne danno testimonianza impressionati opere come “Rage, Flow Thrower” e “Mother Teresa” (2006).
Tutti devono essere derisi, i miti, e soprattutto le icone tramandateci dalla storia, ed è per questo motivo che in un muro eseguito a Chinatown, nella parte retrostante il ristorante Shadi di Boston troviamo raffigurato Picasso con la scritta “Follow your Dream - Cancelled” (2011). Non è possibile seguire i nostri sogni, è possibile ancora sognare? Forse ci troviamo davanti an un pessimismo riflessivo e autocritico?
Banksy nel suo libro Wall and Piece (2005) asserisce quanto segue:
“Mi piace pensare di avere fegato e di far sentire la mia voce in forma anonima in una democrazia occidentale ed esigere cose in cui nessun altro crede come la pace, la giustizia e la libertà”.