Davanti a un progressivo cambiamento della stagione culturale degli anni ’80 dello scorso Novecento si rivelò una alterazione macroscopica dell’immagine ridondante, estensione rappresentativa della cultura sociale che ebbe origine dapprima con Marcel Duchamp (Rrose Sélavy) nell’opera L.H.O.O.Q., (1919) un ready-made rettificato, anteposto alla “iconicità trasversale” che proseguirà nei decenni successivi sino a giungere all’esaltazione di punta che ne darà, specialmente in pittura e in grafica, già partire dagli anni ’60, Andy Warhol con opere come Zuppe Campbell’s, Mao Tse Tung, Marilyn Monroe e tantissime altre.
La prima stagione della Pop art è complessa, ripartita tra fronti geografici che chiamano per prime l’Inghilterra e gli States a svolgere un ruolo di primo piano sulla comunicazione visiva dell'immagine contemporanea.
Di fatto, ciò che noi assistiamo è un confronto parallelo tra la revisione dell’icona, l’esaltazione dell’oggetto e l’immissione di quest’ultimo in un contesto sociale esteso che possa arrivare materialmente e paratatticamente al pubblico fruitore.
Non è un caso, quindi, che l’inglese Richard Hamilton esordì nel 1956 con un piccolo collage intitolato, Just what is it that Maker today’s home so different, so appealing? individuandone nel suo interno domestico una storia della progressione sociale, non soltanto dell’arredamento allora in voga o dello style-life, ma in particolar modo l'artista scrutò lo sdoganamento fenomenologico dei prodotti seriali a largo consumo appartenenti alla Beat Generation, quali: televisione, registratore e fumetto.
Al contempo Claes Oldenburg, in Toeletta morbida (1966) anticiperà il soggetto decadente imperfetto del water closet con quello splendente, luccicante e prezioso, poiché a 18K, di Maurizio Cattelan. America era stato concepito dall’artista italiano nel 2016 per il Museo Solomon R. Guggenheim di New York.
Quanto sommariamente introdotto ci consente di avere un’anticipazione su un altro protagonista importante del XXI secolo, nato nel 1956 a York, in Pennysilvania il 21 gennaio del 1955. Stiamo parlando di Jeff Koons.
Quanto di seguito esporrò su di lui - prendendo in esame alcune opere in esposizione alla mostra JEFF KOONS: SHINE, in corso presso la Fondazione di Palazzo Strozzi a Firenze - intende evidenziare il tassello di congiunzione tra due epoche e due stagioni - vale a dire la Generazione X e la Millennial - che sin dalla loro origine si stavano intersecando sulla modalità compositive dell’immagine citata per “neutralizzare” forme e contenuti popolari, disambiguando quella che io chiamo “iconicità trasversale”, da destinare, oggi, a quegli artisti, i nati dopo il 1989 - collocabili dentro la Diamond Generation, per dirla cole parole di Douglas Coupland - e che oggi interagiscano, alcuni consapevolmente e altri inconsapevolmente, con la manipolazione di quelle immagini iconiche, storiche, datate, dentro il fenomeno artistico della Jeek Culture.
Premesso che Koons ha riscontrato nel corso della sua carriera numerosissimi riconoscimenti, la sua pole position scalante il mercato internazionale dell’arte, la sua capacità di rigenerarsi gli ha consentito di lavorare all’interno di tematiche multiple, segnando riflessioni non banali, concettualizzando per l’appunto l’idea di stile fino al punto di estenderla ad una galassia di patterns che sarebbero stati in grado di evocare, con arguta semplificazione estetica, giocando con forme morbide in superfici riflettenti, la storia della sua vita in uno spazio-tempo aperto ad accoglierne “riflessogrammi sconosciuti”, e per questo sempre variabili dell’esistenza umana.
“Uso spesso superfici riflettenti nel mio lavoro, e ho iniziato a lavorare con l’acciaio lucido nel 1986. La lucidatura conferisce al metallo una superficie sì desiderabile, ma che dà anche conferme allo spettatore. Questa è anche la parte sessuale: si tratta di dar conferme allo spettatore dicendogli: <<Tu esisti!>> Quando ti muovi, si muove. Il riflesso cambia. Se non ti muovi non succede niente. Tutto dipende da te, lo spettatore”.
Jeff Koons, I Graw, There Is Not Art in It: Isabelle Graw in Conversation with Jeff Koons, in Jeff Koons The Painter and the Sculptor, vol.1: Jeff Koons. The Painter, catalogo della mostra (Francoforte, Schirn Kunsthalle Frankfurt, Liebighaus Skulturensammlung, 20 giugno - 23 settembre 2012), a cura di M. Ulrich, V. Brinkmann, J. Pissarro, M. Hollein, Ostfilderns 2012, pp. 78-83:78. Jeff Koons, SHINE, catalogo della mostra, Riflettere il mondo, testo di A. Galansino, p. 20, a cura di A. Galansino e J. Pissarro, Fondazione Palazzo Strozzi, Marsilio, 2021.
Il pubblico attraversa le sale, si specchia, si fa un selfie, un comportamento del nostro tempo che, però, entra dentro la storia della primogenitura, dentro le radici ancestrali della nostra cultura ed evoluzione dello stare insieme, di vivere in società.
Stimolo, curiosità, contatto percettivo e induttivo della storia, ecco quello che riesce a ricostruire Koons con una fitta e serrata ricerca tra le vicende che ripercorre dalle cronache della storia passata viaggiando con la sua macchina del tempo per interrogare ora la biologia, ora l’antropomorfismo, in opere che si collegano perfettamente a quella storiografia socio-artistica e culturale del nostro patrimonio materale e immateriale.
Pensiamo come lui riesca a rievocare nell’opera intitolata Balloom Venus Lespugne (2013-2019) la replica della paleolitica Venere di Lespugne (Musée de L’Homme, Parigi), in una configurazione perimetrale che suggestiona la geometria dell’ellisse.
L’ellisse è ottenuta intersecando un cono con un piano in modo da produrre una curva chiusa. Ecco ci avviciniamo all’Antichità Classica, ai Greci, al Rinascimento, sino a giungere al Neoclassicismo e all’interesse per l’artista americano di ricercare un equilibrio tra empatia, spirito e corpo, alla ricerca di un bello idealistico ed edonistico dei nostri giorni, consapevole di rappresentarci nella routine della quotidianità con tutte le contraddizioni che ci distingono, in quanto esseri viventi.
Certo è difficile poter far paragoni, ma già nel 1755 Winckelmann (1717-1768) pubblicava a Dresda un minuscolo libretto intitolato “Pensieri sull’Imitazione”. Quanto asserì, con le sue lunghe riflessioni e considerazioni lo storico dell’arte tedesco, possiamo riepilogarlo con un estratto del suo pensiero che relaziona le tecniche scultoree del Bernini in rapporto a quei modelli estetici sul canone del “bello” perseguito dai Greci”:
“L’imitazione del bello in natura o si riferisce ad un solo modello, o riunisce insieme le osservazioni sopra vari modelli singoli e li compone in tutto. Nel primo caso si fa una copia somigliante, un ritratto; è la strada che conduce alle forme e alle figure olandesi. Nel secondo caso invece si prende la via del bello universale e per le sue figure ideali; è quest’ultima via presero i Greci. La differenza tra loro e noi è però questa: i Greci avrebbero ottenuto queste immagini anche non fossero prese da corpi belli, in virtù d’una quotidiana osservazione del bello in natura, che a noi invece non si mostra ogni giorno, e raramente come la desidera l’artista”.
Johann Joachim Winckelmann, Pensieri sull’imitazione, a cura di M. Cometa, Aesthetica Edizioni, Palermo, 2001 (1775).
Individuata la visione del pensatore tedesco sopra menzionato, è Arturo Galansino che identifica in Jeff Koons, secondo un “modello ideale propedeutico”, la lavorazione progettuale e di montaggio per la serie dei lavori intitolati Gazing Ball Sculpturers. Questa tipologia di lavorazione e di assemblare più parti (scultura + sfera) debuttò nel 2013 alla mostra Jeff Koons: Gazing Ball presso la David Zwirner a New York.
“Le Gazing Ball Sculptures sono calchi in gesso di sculture del passato sui quali sono collocate meticolosamente le sfere di vetro soffiato blu. Il candido materiale utilizzato sembra inserirsi in una linea neoclassica che associa, come Johann Joachim Winckelmann nella Geschichte der Kunst des Altertums (1745), il biancore delle statue alla <<nobile semplicità e quieta grandezza>> della scultura greca: un pregiudizio critico e storiografico scaturito anche dallo studio indiretto delle statue classiche, ovvero attraverso i bianchi calchi in gesso e non sugli originali. La forma finale delle Gazing Ball Sculptures viene infatti realizzata con la sintesi tra numerosi calchi che hanno diffuso le copie degli originali in tutto il mondo, dalle accademie d’arte alle borghesi case di campagna, recuperando così l’associazione risalente a Statuary tra cultura alta e bassa attraverso la serialità”.
Jeff Koons, SHINE, catalogo della mostra, Riflettere il mondo, testo di A. Galansino, p. 33, a cura di A. Galansino e J. Pissarro, Fondazione Palazzo Strozzi, Marsilio, 2021.
E alla luminescenza penetrante del bianco in scultura, al falso ideale di tutta l’Antichità, poiché in realtà policroma, Jeff Koons riesuma il seguente pensiero, rivolgendosi a Massimiliano Gioni:
“Come ben sai, le sculture greche e romane erano dipinte con colori accesi. È stato solo in tempi relativamente recenti, a partire dal Rinascimento, che gli artisti hanno definito una nuova idea di classicismo basata sul bianco".
Jeff Koons, in Il desiderio messo a nudo, Conversazioni con Jeff Koons, a cura di M. Gioni, p. 109, Johan & Levi, 2021.
Visti questi aspetti, se ne aggiunge un’altro - a mio avviso - di notevole importanza. È il modo che ha Koons di intendere la modalità d’azione del Rinascimento, diacronica, spostandola con le sue revisioni in un asse enunciante, narrante, da Antiquity (2008) a Gazing Ball.
Già nel documentario a lui dedicato, prodotto nel 2015 per la BBC Imagine Documentary, rivelava al pubblico il suo atelier con i tanti collaboratori e assistenti che operavano alla concertazione delle sue opere, seguendo il modello della “bottega-rinascimentale”, citazioni meticolose dal punto di vista pittorico macroaree citanti i saggi dei grandi maestri storicizzati d’arte italiana, da Tiziano a Tintoretto. È in queste opere - da Gazing Ball (Titian Diana and Actaeon) eseguita tra il 2014 e il 2015 arrivando a Gazing Ball (Rubens Tiger Hunt) del 2015 - che si scontrano frontalmente, ad esempio, la macchina esplorativa dell’artista con la macchina evolutiva della genetica impersonale della “iconicità trasversale”:
“Personalmente, associo la storia dell’arte a un senso di connettività. Per me la cosa più importante è sentirmi parte di un dialogo e cercare di partecipare alle narrazioni che compongono la storia o le storie dell’arte. So che può sembrare strano ma ho sempre pensato che l’arte abbia attivamente contribuito a riscrivere il mio DNA e la sequenza genetica”.
Jeff Koons, in Il desiderio messo a nudo, Conversazioni con Jeff Koons, a cura di M. Gioni, p. 83, Op. cit.
I materiali elaborati nascono da riflessioni maturate dall’autore durante la mostra JEFF KOONS: SHINE, presso la Fondazione di Palazzo Strozzi a Firenze, esposizione curata da Arturo Galansino e Joachim Pissarro.
Documenti di approfondimento elaborati per gli Studenti dei Corsi di Fenomenologia delle arti contemporanee (T/B) a.a. 2021/2022 - Prof. Romeo - Scuola di Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.
testo, gallery, musica e reportage:
© Gabriele Romeo
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Si ringraziano per la collaborazione:
- Staff della Fondazione di Palazzo Strozzi, Firenze
- Dott. Riccardo Lami (Coordinamento comunicazione e relazioni esterne)
- Dott. Martino Margheri (Università, Accademie e progetti speciali)